Ogni sera annego la mie frustrazioni e le mie paure nell’alcool, mentre osservo la curiosa fauna che popola il mondo, fatta di uomini d’affari, ubriaconi, prostitute e venditori porta a porta.
Cantano, ridono, bevono, ma si capisce che sono nient’altro che deboli diversivi per cancellare la disperazione che serpeggia nelle strade, qua fuori. Osservo queste persone e io ci vedo solo degli esseri vuoti, persi, che stanno andando al largo nel mare oscuro del tempo. Degli attori goffi che si muovono in punta di piedi sul palcoscenico della vita, mentre indossano delle maschere per sentirsi qualcun altro, o semplicemente per nascondere quello che non vogliono essere. Certe sere, quando le lancette dell’orologio hanno superato di molto l’ora delle streghe, e le libagioni sono terminate, mi ritrovo a piangere sul mio bicchiere, affranto, chiedendomi se davvero arriverà la fine, se moriranno tutti o resteranno pochi uomini, soli e inermi di fronte al disastro. E ogni volta che mi faccio questa domanda so che la serata è finita, perché mi alzo dallo sgabello, dopo aver bevuto in un sorso il mio whiskey, e soppeso la risposta nella mia testa:
spero di non trovarmi tra di loro.